La presidenza di Joe Biden compie un anno: le critiche, i successi e i fallimenti

Il primo anno di amministrazione è il più incerto per i nuovi presidenti americani. È quel periodo in cui il governo degli Stati Uniti comincia a disegnare una traiettoria che soltanto gli altri tre anni a disposizione possono perfezionare, correggere o, nella peggiore delle ipotesi, vanificare. Si tratta del primo approccio alla leadership nazionale e internazionale della principale democrazia occidentale.

Sarebbe prematuro giudicare con termini netti il lavoro di Joe Biden dopo 365 giorni alla guida del suo Paese. L’uomo e politico navigato che da pochi mesi ha compiuto settantanove anni è entrato in carica in un momento caratterizzato dalla paura.

La crisi pandemica e politica che attanaglia gli Usa ha rappresentato un’opportunità. Laddove i contagi hanno portato solo morte e serrate, la Casa Bianca ha promesso giorni migliori, investendo tutte le risorse economiche e umane nella campagna vaccinale. Laddove le fratture tra democratici e repubblicani hanno condotto all’assalto di Capitol Hill – e, come mostrano numerosissimi sondaggi, anche alla fine di amicizie tra semplici vicini di casa – Biden ha tentato di curare le ferite di un popolo lacerato.

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Se, in un primo momento, si è pensato che la fortuna elettorale del Partito Democratico nel biennio 2018-2020 fosse da imputare alla sola presenza di Donald Trump, le ultime elezioni prima dell’inaugurazione di Biden, in Georgia, sembravano premiare i Dem anche per le proposte politiche di cui i due candidati, risultati poi vincitori, si sono fatti portabandiera. Salario minimo, assegno mensile, diritti civili: l’agenda di Raphael Warnock e Jon Ossoff appariva ambiziosissima e aveva come garante “l’uomo nell’alto castello”, Joe Biden. 

Quello che dunque si è materializzato nei primi mesi del 2021 era il contesto politico più favorevole ai democratici dal 2008. Maggioranza (risicata) al Senato, controllo della Camera dei Rappresentanti e della Casa Bianca. Con queste premesse, Biden non aveva giustificazioni. Era costretto a realizzare quanto aveva annunciato in campagna elettorale e gli indici di gradimento si sono mantenuti abbastanza alti per i primi cento giorni proprio sulla scia di questo ottimismo infuso dalle sue parole.

I primi cento giorni di Joe Biden

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden mentre firma l’American Rescue Plan Act. Alle sue spalle, la vicepresidente Kamala Harris.

Prendendo come modello i cento giorni di FDR, Joe Biden ha fatto approvare l’American Rescue Plan Act, un grande piano da 1,9 mila miliardi di dollari che ha sostituito il precedente Cares Act, firmato da Trump nel 2020.

Con l’American Rescue Plan, l’amministrazione Biden ha dato un ulteriore, imponente stimolo all’economia americana, con sussidi di disoccupazione, assegni mensili da 1400 dollari e detrazioni fiscali per chi ha figli, il popolarissimo Child Tax Credit che ha aiutato parecchie famiglie con figli a carico. Una rete di welfare che forse era mancata durante la crisi del 2008. Eppure, l’Arp potrebbe essere stato controproducente, secondo gli economisti Olivier Blanchard e Lawrence Summers, già direttore del National Economic Council durante il primo mandato di Barack Obama.

Blanchard e Summers sostenevano che i quasi duemila miliardi di dollari immessi nell’economia americana avrebbero sortito gli effetti opposti a quelli sperati, parlando di overheating, surriscaldamento dell’economia. E infatti: il dato annuale dei prezzi al consumo negli Usa registra attualmente il +7 per cento, l’incremento più alto dall’estate del 1982, quando nello Studio Ovale sedeva Ronald Reagan. 

Il presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, è però convinto che si tratti di un’inflazione di passaggio, che potrebbe durare un paio di anni, una frase che è stata ritrattata vista comunque l’imprevedibilità del trend economico. La Fed alzerà i tassi di interesse, ma non è terrorizzata, anzi, la conferma di Powell per un secondo mandato voluta da Biden in persona è un avallo al suo operato.

Sempre durante i primi cento giorni di presidenza, Biden è riuscito a mantenere la promessa dei cento milioni di vaccini in cento giorni, superando a fine aprile i duecento milioni. Un successo solo temporaneo, sgonfiato con il passare dei mesi, quando è diventata evidente la riluttanza a vaccinarsi di un numero non indifferente di cittadini americani, soprattutto tra gli elettori dell’ex presidente Donald Trump.

L’immigrazione

La vicepresidente degli Stati Uniti, Kamala Harris, insieme al segretario della Sicurezza Interna, Alejandro Mayorkas, durante una visita al confine tra USA e Messico.

Un tema su cui invece dal primo giorno si è respirata un’aria di fallimento e di impotenza è l’immigrazione. La situazione al confine con il Messico ha procurato diversi grattacapi alla Casa Bianca. 

Lo stesso Biden, per evitare di venire visto come il responsabile, ha consegnato l’incarico di elaborare una politica migratoria alla vicepresidente Kamala Harris, protagonista però di un’affermazione che ha raggelato la comunità internazionale quando ha detto agli immigrati guatemaltechi di non entrare illegalmente negli Stati Uniti.

La sconfitta più dura è arrivata in tribunale, dove i giudici federali di orientamento conservatore hanno re-introdotto il provvedimento Remain in Mexico dell’era Trump, obbligando una ritrosa e inerme amministrazione Biden ad applicarlo.

La politica estera di Joe Biden

In politica estera, l’ostruzionismo legislativo dei repubblicani ha rallentato la nomina di quasi tutti gli ambasciatori. Mantenuti i dazi con la Cina e completato il dolorosissimo ritiro dall’Afghanistan, agli osservatori meno attenti potrebbe saltare all’occhio una presunta continuità con la politica estera di Trump. 

In realtà, il tanto decantato ritorno all’internazionalismo liberale richiederà tempo. Per invertire la rotta, dopo l’esperienza trumpiana, potrebbe non bastare un lustro, poiché l’egemonia globale americana ha manifestato più di qualche segno di cedimento, con una generale sfiducia verso le organizzazioni internazionali che ha eclissato il modus operandi pre-2016. 

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Rinnovare l’alleanza atlantica ed espanderla verso est in chiave anti-cinese, denunciare le violazioni dei diritti umani e rilanciare l’asse economico con l’Unione Europea sono le priorità di Joe Biden, ma è troppo presto per aspettarsi enormi passi in avanti. Basti pensare che il travel ban da e verso l’Europa è stato rimosso soltanto a novembre del 2021.

Il futuro della presidenza Biden

Oggi Joe Biden è un presidente molto impopolare: raccoglierebbe il 42 per cento di opinioni favorevoli nella media dei sondaggi. Gli elettori lo puniscono per l’aumento dell’inflazione e non solo.

La nuova ondata di contagi e l’inefficacia delle misure contro la diffusione delle varianti del coronavirus, contro i quali il governo americano si è arreso, annunciando la fine dei lockdown, stanno mettendo sotto pressione Uncle Sam. E nelle sue prime uscite del 2022 il commander-in-chief ha anche cambiato registro, ora più caustico e aggressivo nei suoi discorsi, consapevole dell’impossibilità di riunire l’America e della probabile minaccia di un disastro elettorale alle prossime Midterm.

Forse nel 2022 Joe Biden sarà meno riflessivo e più combattivo, ma il 2021 verrà ricordato come un anno costellato più da singoli eventi che da novità e risultati concreti. Per quelli occorrerà ancora un altro po’ di pazienza.

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