L’assassinio dell’ex premier Shinzo Abe ha portato in Giappone un senso di sgomento e nemmeno la scena politica resterà immune a un tale avvenimento.
Proprio negli ultimi giorni si è conclusa la campagna elettorale per il rinnovo della Camera Alta. E in occasione dell’ultimo incontro organizzato dal Partito liberaldemocratico Shinzo Abe è morto, assassinato con due colpi di pistola al collo da uno dei presenti.
Tutto è avvenuto la mattina dell’otto luglio scorso verso le 11.30, nei pressi della stazione di Nara, durante un comizio elettorale del Partito liberaldemocratico. L’ex premier stava per tenere il suo discorso a sostegno del candidato locale, aveva appena preso la parola quando ha subìto due colpi al collo. La rete televisiva giapponese NHK ha trasmesso più volte la scena, anche sui suoi canali internazionali.
Parte prima uno sparo, subito dopo un altro.
La telecamera si sposta per inquadrare gli agenti di polizia che braccano il sospettato dell’omicidio: Tetsuya Yamagami. La sua arma è una rudimentale pistola fabbricata in casa con e il suo movente rimane poco chiaro fino all’interrogatorio.
La folla si accalca attorno al corpo di Abe, il quale morirà nel tragitto verso l’ospedale a causa dell’emorragia provocata dall’arma da fuoco.
I medici dichiareranno in maniera ufficiale il decesso solo attorno alle 17.50.
L’assassinio di Shinzo Abe: la dinamica
Come è possibile che una figura così influente in Giappone come Shinzo Abe sia stata assassinata con tale facilità?
Ci sono diversi elementi da considerare, alcune scelte e alcune cause fortuite che si intersecano tra loro verso l’estrema conseguenza.
In primo luogo, l’organizzazione dell’evento elettorale.
Se da un lato la polizia è stata accusata di lassismo, è anche vero che il comizio si stava svolgendo con modalità diverse dal solito. In Giappone le figure politiche di norma intervengono da una posizione sopraelevata, un luogo dal quale possono rivolgersi a un pubblico più ampio e allo stesso tempo rimanere ben visibili ai corpi di sicurezza. Stavolta si trovavano allo stesso livello degli spettatori, nel bel mezzo della folla.
Ciò ha permesso a Tetsuya Yamagami di avvicinarsi molto al suo bersaglio e di mirare a un punto vitale senza dover rischiare di fallire il colpo.
In secondo luogo, l’esitazione degli agenti di polizia.
Infatti non sono intervenuti in tempo per mettere in salvo Shinzo Abe, nonostante siano riusciti a individuare il sospettato e a bloccarlo sul posto. Ma fino a quel momento nessuno aveva notato l’uomo che si aggirava tra la folla. La pistola, poi, era nascosta, e il sospettato ha agito senza disturbo anche grazie all’assenza di barriere.
Infine, proprio il sospettato ha rivelato un ulteriore dettaglio durante l’interrogatorio: già da tempo teneva di mira l’ex Primo Ministro.
Proprio il giorno prima si era tenuto un altro comizio a Okayama, a ovest rispetto a Nara, e lì si era recato anche il presunto killer. Tuttavia aveva rinunciato all’attacco a causa delle procedure d’accesso. Chiunque volesse assistere all’evento doveva firmare la sua presenza e questo deterrente lo aveva convinto ad allontanarsi.
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Chi ha ucciso Shinzo Abe?
La presenza dell’ex premier a Nara si è rivelata un’ottima occasione per il sospettato assassino.
Tetsuya Yamagami, arrestato sul posto dalla polizia per tentato omicidio e poi interrogato, ha 41 anni, è disoccupato e vive proprio nella cittadina in cui ha attentato alla vita di Shinzo Abe. In passato ha fatto parte dell’unico corpo armato giapponese, le Forze di autodifesa, per tre anni intorno al 2005.
Le Forze di autodifesa rappresentano l’unica presenza militare del Giappone, che dalla fine della Seconda guerra mondiale ha dovuto eliminare corpi armati d’offensiva a causa della cosiddetta «clausola pacifista». Ed è proprio questo uno dei punti programmatici del Partito liberaldemocratico.
Per diversi anni il suo rappresentante di spicco, Shinzo Abe, ha insistito per modificare la Costituzione e rimuovere questo tasto dolente dei corpi militari nazionali, senza successo.
Ma il movente di Tetsuya Yamagami sembra non avere nulla a che fare con la politica. Sempre durante l’interrogatorio l’uomo ha infatti rivelato che il suo obiettivo era colpire il leader di un’organizzazione religiosa, incolpata del collasso economico della sua famiglia. Sua madre, in particolare, si sarebbe ritrovata sul lastrico e senza una casa per colpa di questa setta. Il sospettato credeva che Shinzo Abe fosse collegato a tale organizzazione.
L’impronta politica di Shinzo Abe in Giappone
Shinzo Abe è stato per il Giappone una figura politica molto rilevante, nonostante le sue ambiguità. Il popolo l’ha sempre tenuto in grande considerazione e godeva di un’immensa popolarità. La sua carriera come capo di Governo è stata talmente lunga da renderlo il premier più longevo della storia giapponese. Sono quattro i mandati che lo vedono protagonista: il primo risale al biennio 2006-2007 e fu molto breve, il secondo invece venne definito Abenomics a causa di una politica economica molto aggressiva, dal 2012 fino al 2014, anno in cui inizia il terzo mandato.
La sua posizione a quel punto si è rivelata alquanto controversa, soprattutto a causa di una tendenza conservatrice e nazionalista, presente in seno al partito di cui ha sempre fatto parte, e per alcuni tratti negazionista nei confronti dell’esito del secondo conflitto mondiale.
Il terzo mandato ha visto scandali per compravendite e truffe che lo riguardano molto da vicino, senza mai coinvolgerlo in modo diretto. Ma soprattutto, sono stati i tentativi di rafforzare le già citate Forze di autodifesa nazionali a inasprire i rapporti internazionali.
Alla fine dell’ultimo mandato l’ex premier ha deciso di ritirarsi dalla politica, adducendo motivi di salute e privati. Ma dalle retrovie non ha mai smesso di sostenere l’ala più nazionalista del Partito.
Un passato difficile da dimenticare
L’ex Primo Ministro più amato e longevo del Giappone ha alle sue spalle una tradizione difficile da dimenticare. Raccoglie l’eredità politica da suo padre, che è stato ministro degli Esteri, ma anche di suo nonno, che è stato prima ministro durante la Seconda guerra mondiale e poi, a conflitto terminato, Capo di Governo.
Sebbene di certo non possa assumersi le responsabilità dei suoi predecessori, rimane il fatto che le abbia condivise e portate avanti. Scrive Ian Buruma, saggista olandese neutralizzato britannico, esperto di cultura giapponese: «Abe è la vera e propria incarnazione dell’élite politica del paese […]. E tuttavia condivide con i populisti di destra la stessa ostilità nei confronti di accademici, giornalisti e intellettuali moderati». In questo saggio, Perché il Giappone è immune al populismo?, contenuto in The Passenger: Giappone, edizioni Iperborea (2018), lo studioso sta parlando di una corrente culturale moderata che desiderava allontanare il Giappone dal nazionalismo che l’aveva condotto alla guerra. Più avanti Buruma afferma che «Abe e i suoi alleati stanno tentando di reprimere quell’influenza».
Lo stesso autore riporta che proprio questa tendenza a «riaccendere l’orgoglio per i successi militari ottenuti durante il conflitto» è la scintilla che ha suscitato la stima di Steve Bannon, il quale l’ha definito «un Trump prima di Trump».
La storia familiare di Shinzo Abe si intreccia in modo saldo alla politica, fino a diventare complessa, controversa e ambigua, ma rimane sepolta dagli ultimi inaspettati avvenimenti.
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Dopo Shinzo Abe: una politica senza sorprese per il Giappone
Subito dopo l’attentato, il Primo Ministro Kishida Fumio, candidato per il Partito liberaldemocratico, ha annullato gli appuntamenti della campagna previsti a Fukushima e Kyoto per venerdì. Ma l’agenda politica è tornata attiva il giorno seguente, sabato nove luglio.
Infatti domenica il Giappone è andato alle urne, raccogliendo lo sgomento per la perdita di una figura tanto emblematica per il Paese. Il risultato mostra una vittoria schiacciante per il partito di Abe e Kishida, che guadagna 76 seggi su un totale di 125 seggi liberi in Camera Alta.
Il Partito liberaldemocratico e il Komeito formano la coalizione di destra, il blocco che rappresenta la maggioranza in Camera Alta.
Le elezioni, a ridosso dell’assassinio di Shinzo Abe, confermano le previsioni degli esperti, anzi, le superano. Dunque Kishida Fumio rimane capo di Governo con la coalizione di destra.
Di fatto molti elettori hanno voluto sostenere il Partito liberaldemocratico anche a causa dell’attentato all’ex Primo Ministro. L’affluenza alle urne risulta maggiore rispetto alle ultime elezioni del 2019 (si passa da una media del 48,80 per cento al 52,05 per cento di domenica 10 luglio) e diversi cittadini sono stati influenzati dai tragici eventi a tal punto da scegliere la coalizione di destra.
Ora starà al rinnovato premier mantenere le promesse elettorali e diverse sono le sfide che lo attendono. Oltre alle conseguenze della pandemia di Covid-19 e all’attacco russo all’Ucraina, dovrà fare i conti con la sicurezza interna del Giappone.
Un bilancio finale
Forse Kishida Fumio avrà anche l’occasione di riportare all’attenzione pubblica la questione costituzionale: la modifica della «clausola pacifista» imposta dagli Stati Uniti alla fine della Seconda guerra mondiale. Una condizione che non sta stretta solo al Partito liberaldemocratico, ma anche ad altri partiti e ai loro sostenitori.
Ottenere questo risultato porterebbe il Giappone a essere più forte, sia all’interno che all’estero.
Ma il premier dovrà rimanere in linea con la politica del suo predecessore, e sarà una grande sfida. L’esperto di politica per NHK World, Masuda Tsuyoshi, dichiara che il Primo Ministro ha sempre agito seguendo l’esempio del suo mentore, Shinzo Abe, e che molti risultati sono stati raggiunti grazie all’influenza dello statista. Questa volta non potrà più contare sul suo appoggio e avrà la necessità di cambiare metodo e approccio.
In conclusione, la politica del Giappone è di certo rimasta scossa dalla morte improvvisa e violenta di Shinzo Abe, ma questo evento non ha fatto altro che spingere il Paese del Sol Levante proprio nella direzione che aveva già preso. Una svolta mancata che conferma da un lato la scarsa partecipazione del popolo alla vita politica e dall’altra la necessità per il governo di smarcarsi dalle dolorose memorie del passato.