Alex Jones: quando la disinformazione paga (in tutti i sensi)

Aveva negato la strage alla scuola elementare Sandy Hook del 2012. Sostenuto che le persone coinvolte fossero attori ingaggiati dal governo Obama. A distanza di dieci anni dall’accaduto, Alex Jones, speaker radiofonico e figura di spicco dell’estrema destra americana, è stato condannato per diffamazione e dovrà pagare un maxi-risarcimento alle famiglie coinvolte nella strage. Un colpo importante al mondo della disinformazione, il quale ha aperto a risvolti interessanti, dallo spostamento di capitali tramite società di comodo, al coinvolgimento nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Ma chi è Alex Jones?

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assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021
La rivolta del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill. Foto: Wikimedia Commons.

Alex Jones: la voce dell’estrema destra americana

Alexander Emerick Jones nasce a Dallas, Texas, nel 1974. Presentatore televisivo locale e speaker radiofonico, nel 1999 fonda InfoWars, un sito che promuove teorie cospirazioniste e fake news. La posizione fortemente antisistema ha attirato le simpatie dell’estrema destra americana, tanto da godere di notorietà e considerazione da parte di politici di alto livello, come l’ex presidente Donald Trump. Nel 2021, il portavoce del tycoon, Steve Bannon, ha definito Jones come «una delle persone più intelligenti in tema di transumanesimo, un uomo d’azione e un grande pensatore politico».

Senatori e presentatori tv ritengono Alex Jones una fonte più che attendibile in fatto di informazione. Come J.D. Vance, candidato conservatore per il Senato in Ohio, o il commentatore politico di Fox News, Tucker Carlson. Per quest’ultimo, «Jones è più di una guida per la realtà di questi anni; in altre parole, è di gran lunga il miglior giornalista sulla piazza». Attestati di stima che indicano senza ombra di dubbio l’orientamento politico di Alex Jones.

InfoWars: una fabbrica di fake news…

Nonostante negli ultimi anni i contenuti di InfoWars siano stati censurati da alcuni social network come Facebook e Twitter, riscuotono ancora un discreto successo. Anzi, la censura ha fatto in modo che ottenessero ancora più risonanza. Lo stesso Jones ha sostenuto che le azioni contro di lui fossero opera dei poteri occulti del governo, nel tentativo di metterlo a tacere per aver scoperto scottanti verità.

Un articolo del Washington Post dell’8 agosto, a cura di Aaron Blake, ha raccolto alcune delle più recenti teorie del complotto raccontate da InfoWars. Si possono leggere notizie che riguardano l’utilizzo di agenti chimici da parte del governo per rendere le persone omosessuali. Oppure che lo stesso governo starebbe usando armi meteorologiche sui propri cittadini. E ancora, l’affermazione, poi ritrattata, dell’esistenza del cosiddetto Pizzagate. Secondo il sito, Hillary Clinton e il suo entourage gestirebbero un traffico sessuale di stampo satanico da una pizzeria di Washington.

Inoltre, sempre secondo InfoWars, il governo americano avrebbe orchestrato diversi attacchi terroristici, sia interni al Paese che all’estero. Tra questi ci sarebbero l’11 settembre, la maratona di Boston, la strage di Oklahoma City e l’attacco terroristico all’aeroporto di Bruxelles.

… e di soldi

Nonostante la natura tendenziosa dei contenuti proposti, InfoWars è stata una vera miniera d’oro per Alex Jones. I profitti sono riconducibili, da una parte, alle visite degli utenti e alle pubblicità presenti nel sito. Dall’altra, la piattaforma promuove la vendita di prodotti per la sopravvivenza medicinali non tradizionali, integratori alimentati e attrezzature per survivalisti. Questi articoli sono venduti direttamente da un’azienda gestita da Alex Jones e suo padre.

Il New York Times stima che, fra il 2015 e il 2018, Jones abbia guadagnato più di centosessantacinque milioni di dollari. Dal processo in corso è emerso che tutte le attività riconducibili a Jones potrebbero raggiungere i duecentosettanta milioni di dollari di fatturato.

Come indicato da Forbes, a partire dal 2010, InfoWars avrebbe guadagnato circa dieci milioni di dollari l’anno, contando circa quattro milioni di visite uniche al mese. Nel solo 2012, anno del massacro alla scuola elementare Sandy Hook, InfoWars avrebbe fatturato settanta milioni di dollari grazie anche ai contenuti sulla presunta falsità della sparatoria. La fama del sito è cresciuta negli anni e nel 2018 contava circa dieci milioni di visite uniche al mese. Per intendersi, un numero di visite maggiore di siti di informazione mainstream come Newsweek e The Economist.

Il processo per le dichiarazioni sul massacro della Sandy Hook

Tra le varie teorie del complotto diffuse negli anni da Alex Jones, una riguarda la strage della scuola elementare Sandy Hook. Il 14 dicembre 2012, il ventenne Adam Lanza entrò in una scuola elementare di Newtown, Connecticut, e uccise venti bambini e sei adulti. La strage ha sconvolto il popolo americano, portando a diverse manifestazioni in favore di una regolamentazione più rigida sulla vendita delle armi.

Secondo Jones, il massacro era una montatura per promuovere la politica di limitazione delle armi voluta dal governo Obama. Per lo speaker radiofonico, le persone coinvolte nella strage, come i genitori dei bambini uccisi, erano attori ingaggiati per rendere la messinscena reale. Le sue esternazioni non hanno solo offeso la memoria delle vittime della scuola elementare. Soprattutto, hanno sortito l’effetto di istigare i sostenitori di Jones, alcuni dei quali hanno minacciato i parenti delle vittime.  

A seguito delle intimidazioni e delle aggressioni subite da alcuni genitori, Alex Jones è stato denunciato per diffamazione. Nel 2018 hanno preso il via in Texas e Connecticut due processi a suo carico, insieme a InfoWars e alla Free Speech Systems, società proprietaria del sito. Jones si è scusato con i parenti delle vittime, riconoscendo la veridicità della strage, ma non ha collaborato al proseguo delle indagini, fornendo i documenti sulle proprie attività.

La svolta è arrivata a giugno 2022. I legali di Alex Jones hanno inviato per errore una trascrizione di due anni di conversazioni private del loro assistito agli avvocati dell’accusa. Questa documentazione ha permesso a al giudice di avere un’idea più chiara delle azioni di Jones e di come guadagnasse dalla diffusione di notizie tendenziose. Il conduttore radiofonico è stato così condannato a pagare ai genitori delle vittime quasi cinquanta milioni di dollari per diffamazione.

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Le vittime della strage alla Sandy Hook. Foto: CNN

Prove di bancarotta e il coinvolgimento all’assalto di Capitol Hill

Come specificato dall’articolo di Open sul processo, Jones si è avvalso dell’istanza di protezione fallimentare per non pagare il risarcimento indicato dalla Corte. Quest’istanza permette, infatti, di limitare la quantità di denaro da restituire a seguito dei processi, ma per i legali delle vittime sarebbe solo un modo per salvaguardare i propri profitti. Secondo le ricostruzioni degli avvocati, Jones avrebbe prelevato denaro per sé e i suoi familiari dalla Free Speech System, anch’essa gestita da Alex Jones. A confermarlo, Kyle Farrar, uno degli avvocati delle famiglie coinvolte nel massacro della Sandy Hook, ha affermato: «Alex Jones ha usato le bugie per ammassare fortune e ora usa bugie e falsità come scudo per i suoi soldi».

Nello specifico, lo speaker radiofonico ha dichiarato che i soldi prelevati dalla Free Speech Systems sarebbero serviti per onorare un debito di cinquantaquattro milioni di dollari con la società PqprHoldings, una compagnia gestita direttamente e indirettamente da Jones e i suoi genitori. Dal dibattimento è emerso che «Pqpr non esegue servizi, non ha dipendenti e non ha un magazzino», confermando che i soldi trasferiti sarebbero finiti direttamente nelle tasche di Alex Jones.

I problemi, però, non finiscono qui. Nei due anni di comunicazioni fornite in modo fortuito dai legali di Jones sono presenti prove di un suo coinvolgimento negli scontri di Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Non sono state presentate accuse ufficiali nei confronti di Jones, ma sembrerebbe che lo speaker complottista abbia avuto un ruolo fondamentale nel fomentare le rivolte e l’attacco a Capitol Hill. Sarà compito della Commissione di Inchiesta sul 6 gennaio accertare o meno il reale coinvolgimento di Alex Jones negli avvenimenti di quel giorno.   

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