Ora possiamo dirlo: meno male che Boris è tornata

L’annuncio della quarta stagione di Boris ci aveva colto di sorpresa, ammettiamolo. Per chi aveva visto una delle serie italiane più iconiche quando era uscita, ben quindici anni fa, deve essere stato il realizzarsi di un sogno: aggiungere un capitolo alla disastrosa saga di René Ferretti e della sua troupe dopo che il film, uscito nel 2011, aveva inferto la mazzata finale al regista in cerca della qualità a condannato a sfornare solo mer*a.

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Buona parte dei fan di Boris aveva accolto con preoccupazione l’annuncio della quarta stagione: dopo tutti questi anni, dopo che la serie, nel frattempo sbarcata su Netflix, era tornata di culto, e soprattutto dopo che i diritti per la realizzazione erano passati a Disney, il ritorno poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio.

Giocare con l’hype dei fan per poi mostrare un prodotto mediocre o comunque ben al di sotto delle aspettative di cinismo, lucida, disincantata e feroce critica dello stesso medium televisivo che la partoriva: questo era il rischio a cui si sono sottoposti i creatori di Boris 4 (Luca Vendruscolo e Giacomo Ciarrapico, con lo scomparso Mattia Torre sempre nel cuore). Allo stesso potenziale rischio si sono esposti i membri del cast, che nel corso degli anni si sono affermati all’interno del cinema italiano ma sono sempre rimasti legati alla serie.

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L’idea di vedere una quarta stagione che non fosse all’altezza delle precedenti c’era: quando passano tanti anni da una stagione all’altra il motivo per cui si decide di rispolverare un prodotto di successo può essere solo uno, i soldi. E quando si scrive qualcosa per denaro, soprattutto se a questo aspetto ci pensa uno dei più grandi network del mondo, i risultati sono spesso scarsi.

Ma avevamo dimenticato che esiste un’altra ragione per cui si può decidere di scrivere, girare e produrre una quarta stagione di Boris dopo quindici anni: le ragioni de(gli occhi del) cuore.

La quarta stagione di Boris riesce a mantenere inalterato lo spirito corrosivo che conoscevamo, aggiungendo però una componente sentimentale che nelle precedenti stagioni mancava.

Sono numerosi i commoventi e insieme scanzonati omaggi a tutti coloro che non ci sono più, a cominciare da Roberta Fiorentini, interprete di Itala, che viene omaggiata subito con un divertentissimo funerale del suo personaggio (sembra un ossimoro ma in Boris non lo è). Ma è soprattutto Mattia Torre, lo sceneggiatore scomparso nel 2019, ad aleggiare sulla serie con il suo fantasma, incarnato da Valerio Aprea. È proprio lui a continuare a consigliare, indirizzare e anche sfottere i suoi colleghi sceneggiatori (Andrea Sartoretti e Massimo De Lorenzo), in una continuazione dell’autoironico gioco delle parti che conosciamo fin dalle prime tre stagioni che vede questi personaggi ricoprire il ruolo di sfaticati, inconcludenti e mediocri deus ex machina della serie. È soprattutto nella sua memoria che si è deciso di fare una quarta stagione di Boris: ed è insieme commovente e ironico il fatto che venga messa in bocca al personaggio di Valerio Aprea la battuta «l’inferno è pieno di quarte stagioni», che è allo stesso tempo una benedizione e uno sfottò.

La componente emotiva di Boris 4 è presente anche nella scelta di dare, finalmente, una conclusione positiva all’arco narrativo del personaggio di René Ferretti. Vilmente raggirato nella serie, umiliato nel film, finalmente il regista Don Chisciotte della fiction italiana si riscatta e riesce a portare a casa “la qualità”. Per farlo deve scendere a compromessi, deve aggirare le regole, non che per lui sia un problema. Ma deve, soprattutto, piegarsi al nuovo, pervasivo personaggio occulto di Boris 4. L’algoritmo.

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Oltre alla componente emotiva e sentimentale, in Boris 4 ritroviamo l’analisi perfetta della cultura seriale italiana e internazionale e, soprattutto, una lettura cristallina dei vizi del presente. L’algoritmo pervade ogni decisione, ogni mossa di ogni figura che si muove nel tentacolare mondo della televisione, distorcendo, addolcendo, falsificando e spolverando di buonismo un tanto al chilo ogni cosa. Non importa che la fiction che la troupe di Boris 4 sta girando sia la Vita di Gesù, un soggetto che più tradizionalista non si può: le mani della piovra-algoritmo si stendono fino ai Vangeli aggiungendo apostoli neri e asiatici, pretendendo la storia teen, vincolando l’approvazione del soggetto alla presenza di una persona dalla sessualità non conforme all’interno della squadra.

E come si combatte la fastidiosa, zuccherosa, dispotica e inclusiva presenza dell’algoritmo? René Ferretti ci riesce facendo ciò che in nessuna delle precedenti stagioni di Boris era stato in grado di fare: dando ascolto a(gli occhi del) cuore.

Quando si crea qualcosa per il piacere di raccontare una storia in cui si crede, si può avere più successo di quando ci si sforza di compiacere a tutti i costi un algoritmo. Quello che Boris 4 sembra voler comunicare con il suo finale è che anche in tempi in cui i narratori devono fare lo slalom tra le maglie strettissime e insidiose del politicamente corretto si può raccontare qualcosa di scorretto, originale, geniale e, soprattutto, che non vuole compiacere nessuno.

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In Boris 4 si ride anche, tantissimo. La comicità che contraddistingueva le prime stagioni è rimasta intatta nell’essenza, modificandosi solo nell’oggetto della sua critica: le scempiaggini ipocrite che le piattaforme pretendono per considerare un prodotto “a norma”, i codici di comportamento che generano spassosissimi equivoci, il divismo mai sopito delle star del piccolo schermo (il sempreverde Stanis ma anche Pierfrancesco Favino, omaggiato nel finale in una scena che è uno dei momenti più alti della quarta stagione).

Per fortuna che Boris è tornata, dunque. La preoccupazione che aleggiava è, forse, figlia proprio di quello spirito radical chic contro cui la serie si scaglia. Siamo contenti di essere stati smentiti e anche un po’ presi in giro. Perché mai come nelle precedenti stagioni abbiamo realizzato che l’“oggetto dello sfottere”, quel maledetto algoritmo, è ormai dentro ognuno di noi e condiziona i nostri pensieri. Torniamo dunque “scorretti” per qualche ora e concediamoci il piacere di “farci una risata” con Boris 4.

Sempre che non ne facciano anche una quinta, però…

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