«Io un rapper? Anche, ma soprattutto un messaggero cosmico». Intervista a Shenar

Quando il nonno gli ha regalato quel libro, non poteva immaginare cosa sarebbe successo. O forse sì. La zia, di certo, non aveva dubbi. Perché quando Shenar lo ha preso per la prima volta in mano, tutto gli è parso più chiaro. Shenar, all’anagrafe Francesco Troiani, ha 26 anni, è romano ed è un rapper. Conduce una vita di quelle che verrebbero definite “normali” per ragazzi della sua età: lavoro, sport, amici e musica.

Su Spotify, Amazon Music e Apple Music si possono trovare i suoi album: tre, circa 40 tracce in tutto. Canzoni che parlano d’amore, di amicizia, di introspezione psicologica, ma che nascondono messaggi metafisici, ultraterreni, capaci di spezzare la routine, di mettere in discussione le certezze di sempre. Il contattismo è il fenomeno che riguarda coloro che dichiarano di essere entrati in contatto con intelligenze aliene. Un fenomeno che esiste da sempre, da quando l’uomo ha messo piede sulla Terra. Shenar e Francesco lo sanno bene. E, chissà, anche suo nonno.

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Chi è Shenar?

«C’è una doppia lettura. “Shenar l’artista” è un ragazzo di Roma che fa musica perché ha visto nell’arte, in particolare nella musica e nel rap, qualcosa che gli riusciva a pennello, un canale espressivo. Quella di pensare e riflettere molto per me è un’attitudine: tutti i pensieri, le idee, le riflessioni e le conclusioni a cui giungo di volta in volta sfociano in un percorso parallelo, quello del ragazzo che lavora ed esce con gli amici e quello più spirituale, interiore, che si traduce in musica. Uno dei punti forti della mia identità artistica è sempre stata la capacità di riuscire a scrivere testi che in prima analisi non erano alla portata di tutti, che avevano vari strati di lettura. Per questo punto molto sulla scrittura. Shenar si evolve anno dopo anno e scrive tutto quello che gli passa per la mente, lo cristallizza all’interno delle canzoni. Poi c’è “Shenar il personaggio”, che è colui al quale mi sono ispirato e viene da una realtà che esiste, anche se non tutti ne sono consapevoli. Qui si entra nel mondo dei contattisti».

Come ti sei avvicinato al contattismo?

«Ho avuto sempre quella che viene definita in gergo psicologico meta-riflessività. Fin da piccolo percepivo la differenza tra un essere che pensa e un essere che pensa a sé stesso nell’atto di pensare. Gli studi in Filosofia mi hanno consentito di fare ricerche ed è così che ha iniziato a delinearsi questa vena, già presente in me, che poi è esplosa. Grazie a un ricercatore incappo in questa dimensione più “esoterica”, che tenta di scardinare le certezze che la Storia, la Scienza e l’Archeologia ci hanno dato, informazioni che potrebbero ridefinire la posizione dell’essere umano nell’universo. Il mio primo disco è uscito nel 2015: ero appena uscito dal liceo e stavo iniziando Filosofia, si inizia a percepire questa svolta. Da uno tra tanti sono diventato uno con un’identità precisa a livello psicologico. E tutto si è tradotto in musica. Questo ricercatore mi apre le porte di una realtà quasi esegetica, di analisi letteraria, una realtà che mi fa scattare una serie di click.

Nei testi sacri ci sono spesso messaggi che vengono spacciati per verità assolute e religiose; questo ricercatore, Mauro Biglino, tempo fa ha iniziato a scrivere dei libri dove traduceva dall’ebraico antico la Bibbia attraverso una traduzione non semantica, ma letterale, parola per parola, e ha notato che emergevano cose interessantissime. Alla conclusione di tutto questo (che poi è stato anche argomento della mia tesi di laurea) emerge che la Bibbia parla di extraterrestri, di esseri superiori venuti dalle stelle di cui noi siamo figli e che attraverso tutta una serie di interventi tramandano conoscenze avanzatissime nei vari ambiti della vita dell’uomo, dall’agricoltura alle tecniche di costruzione, all’arte. È un discorso che si ricollega all’archeologia: esistono nel mondo siti archeologici antichissimi e se si va ad analizzare i reperti, i disegni e le scritte che si trovano lì, si nota che combaciano con quello che compare nelle Sacre Scritture. Ma non parliamo solo della Bibbia, dell’Antico Testamento, ma anche dei testi antichi dei mesoamericani, quindi delle civiltà precolombiane come i Maya: tutti parlano più o meno delle stesse cose. Quindi questi esseri evoluti, che trasferiscono conoscenze, fanno parte del percorso evolutivo dell’uomo e vigilavano con queste sfere di luce o carri di fuoco. Poi, a seconda della cultura di riferimento, vengono definiti in modo diverso: Annunaki nella tradizione mitologica sumera, Elohim nella Bibbia e così via. È curioso pensare che popoli così distanti nel tempo e nello spazio avessero una visione così simile. Allora la domanda sorge spontanea: non è che c’è stato davvero un contatto? 

Il contattismo mi ha insegnato a unire i puntini e mi ha riportato al presente: esistono persone che hanno vissuto esperienze di contatto con esseri superiori provenienti da altri pianeti, altri mondi. Attenzione, non dobbiamo immaginare la classica fantasia cinematografica di matrice hollywoodiana dell’extraterrestre che arriva con gli ufo e rapisce il contadino della fattoria americana. Si tratta di esseri umani come noi, solo molto più evoluti, che viaggiano nel cosmo all’interno di piani spaziali e ci visitano da tempo immemore, gli stessi che vengono citati dalle Scritture e che vengono chiamati in modi diversi. Sono i nostri fratelli cosmici. E noi possiamo attingere alle informazioni che forniscono grazie ai contattisti. Uno di questi alieni si fa chiamare Shenar (è il nome vocalizzabile) e parla spesso di argomenti molto attuali che riguardano la nostra società: per esempio, che la sua gente è molto preoccupata per il nucleare, che ci può sfuggire di mano portandoci all’autodistruzione creando effetti dannosi a catena anche nel sistema solare. Tutto questo mi ha ispirato, tanto da portarmi ad assumere, a livello artistico, il suo nome e a farmi seminare, all’interno dei miei testi, questi concetti».

Questa tua attitudine quasi metafisica come si sposa con un genere musicale, il rap, che invece è molto “terreno”?

«Il rap è molto terreno e a tratti crudo, può sembrare che chiuda le porte a qualsiasi tentativo di “elevazione”. Ma ha una caratteristica che gioca a mio favore, la possibilità di utilizzare molte parole. I testi delle canzoni sono molto densi, consentono di esprimere concetti, idee, stati d’animo in maniera dettagliata, di veicolare messaggi in modo chiaro e preciso, di raccontare storie mescolando realtà e finzione».

Di questa tua passione parli anche con gli amici? O percepisci una specie di resistenza? 

«Questo è sempre stato un cruccio per me. Ho affrontato il percorso di studi con un ragazzo con cui ho scoperto di avere questa passione in comune. Su questi temi è stato il mio primo interlocutore, per me è stato fondamentale: quando resti troppo isolato rischi di iniziare a pensare di essere matto. Poi c’era Ivan, il mio migliore amico. All’inizio era estraneo a questi temi, poi piano piano, sentendomene parlare, ci si è avvicinato, mi ha fatto domande, mi ha chiesto spiegazioni, fino a diventare un altro mio interlocutore molto importante. Nel tempo, poi, ho iniziato ad allargare la mia cerchia, parlando con sempre più persone di contattismo. Non nego di essermi scontrato con chi mi dava del complottista. Sai, quando parli di alieni, di piramidi, di extraterrestri è inevitabile. Non è che la gente sia cattiva, è che è manipolata, e quando nell’essere umano si radica una credenza cristallizzandola nel tempo, finirà per difenderla con i denti perché tutto ciò che può metterla in discussione viene da lui percepito come una minaccia alla sua stessa sopravvivenza. Soprattutto quando il pericolo è quello di dover rinunciare a uno status esistenziale: gli dici che Dio non è quello che ci hanno raccontato, che gli extraterrestri non sono quelli che ci hanno descritto, che la Bibbia non è quello che ci hanno detto… E allora, chi siamo noi?».

A chi ti dà del complottista cosa rispondi? 

«Che non lo sono perché non c’è alcun complotto: è tutto evidente. Ognuno di noi può leggere il Vangelo, vedere le piramidi… Al massimo, posso darti delle informazioni per intelleggere qualcosa che non comprendi, ma sono fatti sotto gli occhi di tutti. Troppe cose non tornano e ci sono tante risposte che farebbero quadrare i conti e che è tempo di prendere in considerazione».

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Per un giovane che si affaccia al mondo della musica può essere difficile trovare una strada. Trattare temi simili rende tutto ancora più complesso?

«Il problema è duplice. Da una parte, molta gente non ha voglia di sentirsi dire certe cose, le rifiuta e scarta l’idea di ascoltarmi; dall’altra, c’è un livello di difficoltà nella comprensione perché si tratta di concetti non proprio “frequentati”. Il grande impegno e sforzo da parte mia è proprio quello di cercare di non inserire nelle mie canzoni concetti troppo strutturati, ma di semplificarli il più possibile. Se leggi i miei testi percepisci qualcosa dei temi che tratto, ma non li ritrovi per filo e per segno, altrimenti sarebbero incomprensibili. Scelgo di piazzarti al momento giusto un richiamo, sapendo che in qualche modo ti arriverà perché quando si ascolta musica si è più vulnerabili e più aperti, si riescono a elaborare concetti attraverso canali non tradizionali: non c’è solo l’udito, c’è anche quel sesto senso di comprensione più inconscia. Così, con una rima messa bene, posso riuscire ad accenderti qualcosa, a farti scattare un click che ti fa nascere una curiosità, ti fa porre quella domanda in più».

La tua famiglia cosa pensa di Shenar?

«Mia madre è molto contenta di questa mia passione, è quella che più di tutti mi ha supportato. Non è così dentro ai temi che tratto, né vuole diventarlo, è solo felice che io abbia interessi così forti. Con mio padre non ho mai parlato di questi argomenti. È un artista, un polistrumentista che da ragazzo ha fatto anche tournée mondiali con il primo gruppo storico di Pupo, di cui era il chitarrista (la passione per la musica è senza dubbio genetica), ma il mondo del contattismo non lo ha mai approfondito. La persona che da questo punto di vista mi è sempre stata più vicina è mia zia paterna. È una medium, quindi si occupa anche lei di queste tematiche (anche se è più legata alla comunicazione con le anime dei defunti). È una donna che studia molto anche temi insoliti e fuori dal comune. Ha un rapporto privilegiato con la meditazione e con il viaggio astrale, quindi con l’uscita dal corpo. Per tutti questi motivi mi comprende, non devo spiegarle nulla, già sa. 

E poi c’è il discorso di mio nonno paterno. Questa è davvero una cosa assurda, stento ancora a crederci. Io non ho mai avuto rapporti con lui, sapevo che era uno studioso, ma non quali temi trattasse. Di recente mi sono ritrovato a casa un libro dal titolo La geometria degli dèi, di cui era autore e che mi regalò quando ero molto piccolo. Dentro c’era una dedica: “Quando crescerai, leggerai queste cose e capirai”, qualcosa del genere. Ho iniziato a leggerlo e sono rimasto sconvolto: erano gli stessi argomenti della mia tesi di laurea, della mia passione, c’erano gli studi sulle piramidi, sull’archeologia antica, sulle Sacre scritture che parlano di extraterrestri… Sono rimasto scioccato, anche perché si tratta di un libro scritto quarant’anni fa. Mia zia, mio nonno… È come se ci fosse un ponte a livello familiare, un collegamento. Non può trattarsi di una semplice coincidenza. Anche perché in nessuno dei due casi parliamo di persone che hanno cercato di “indottrinarmi” o di iniziarmi a tali tematiche. È venuto tutto in modo spontaneo, da me e solo da me. Ma è come fosse scritto nel Dna per poi emergere nell’inconscio». 

Progetti futuri?

«È appena uscito il video di Cuore flambé, il mio ultimo singolo. Stiamo lavorando a quello del nuovo pezzo che sarà una cosa del tutto diversa. Una delle principali caratteristiche della mia musica è l’incredibile diversificazione a livello stilistico: posso fare la canzone più conscious, quella più strong, più pop, più old school e underground. Non mi pongo limiti perché così è la conoscenza: smisurata, multiforme, senza confini, tendente all’infinito. Come potrei indossare una museruola, dei paraocchi e buttarmi solo su un genere? Impossibile, a volte alcuni concetti possono essere espressi in un modo, altri in un altro. Il prossimo progetto sarà qualcosa di ancora diverso. Un altro brano a cui sto lavorando sarà invece più lento, parlerà del Regno dei Cieli, di Cristo che tornerà sulla Terra. Sono del tutto contrario all’idea che un cantante debba costruirsi una precisa e coerente identità artistica: è più facile in termini di riconoscibilità e successo, ma non potrei mai sottostare ad alcuna regola. La verità, la vita, le esperienze non le puoi inscatolare».

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