Parricidio, da Freud a Dostoevskij

Per parricidio si intende l’omicidio di un ascendente o più in generale di un parente stretto. Si parla di uxoricidio nel caso la vittima sia il/la coniuge, di fratricidio se il delitto è commesso contro un fratello o una sorella o di matricidio/patricidio se a morire è un genitore. Il parricidio è un topos letterario abbastanza comune, soprattutto nella cultura greca. Tra i racconti più famosi spicca sicuramente quello di Edipo, da cui deriva il complesso di Edipo, teorizzato dallo psicanalista Sigmund Freud.

Proprio quest’ultimo ha dedicato alla tematica del parricidio un saggio, dal titolo Dostoevskij e il parricidio (1928). Freud riscontra nell’autore e filosofo russo quattro diverse caratterizzanti: lo scrittore, il nevrotico, il peccatore e il moralista. Se sulla prima non ha niente da obiettare, sulle altre compie un’analisi che ripercorre la biografia dell’autore e la sua poetica.

Secondo Freud, Dostoevskij poteva essere un apostolo dell’umanità, e invece, a causa della sua nevrosi, ha limitato sé stesso. Infine, schiacciato dal senso di colpa, si è piegato alla Chiesa e al sovrano. Dato certo è che, dopo anni di vizi, lo scrittore abbia ricercato la redenzione. Si può considerare una persona morale? Oppure è morale colui che, invece di cadere in tentazione e poi redimersi, riesce a rinunciare da subito al peccato?

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Sigmund Freud.

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Il delinquente

Secondo Freud, il potenziale delinquente è dominato da un egoismo illimitato e da una tendenza distruttiva. Se questi due fattori vengono accompagnati da una mancanza e da una conseguente necessità d’amore, è possibile che la persona in questione diventi un criminale.

Dostoevskij è dominato da queste caratteristiche, ma le rivolge verso l’interno, invece che verso l’esterno. La sua sarà quindi una personalità masochista, a tratti sadica, dominata dal senso di colpa. Queste sue caratteristiche sono riscontrabili sia nei suoi romanzi, nella scelta dei temi e dei personaggi, che nella sua biografia, segnata dal vizio del gioco. Infatti fra gli innumerevoli (e tutti degni di nota) personaggi da lui creati, si possono ricordare Aleksej Ivànovic (Il giocatore, 1866), giocatore compulsivo che arriva a perdere denaro e relazioni personali, oppure Fedor (Sogno di un uomo ridicolo, 1877), che in un viaggio onirico in un altro pianeta dissemina la corruzione fra gli uomini del luogo, che vivevano in una dimensione paradisiaca.

La nevrosi e l’epilessia: il nevrotico

Per il fatto di non riuscire a conciliare la grande affettività con il carattere pulsionale e il talento artistico, si genera nello scrittore russo quello stato che Freud definisce nevrosi. La nevrosi è un disturbo psicologico, che deriva dalla rimozione o dalla repressione degli istinti, che si manifesta a livello inconscio. Secondo Freud, la nevrosi causa in Dostoevskij una serie di attacchi epilettici. Questi sono visti dallo psicanalista come uno sfogo, un’eliminazione per via somatica di eccessivo eccitamento.

Tale reazione può essere causata da fattori biologici, cioè da una malattia del cervello (epilessia organica) o da fattori psichici, come la nevrosi (epilessia affettiva). Durante la sua giovinezza, inoltre, Dostoevskij venne più volte colpito, come racconta all’amico Solov’ëv e come appare dalle testimonianze del fratello Andrej, da una sensazione di morte. Essa era seguita da uno stato simile alla morte vera e propria. Qui entra in campo la figura del padre e del rapporto ambivalente che lo scrittore aveva con lui. Solamente dopo la sua morte si manifestarono gli attacchi epilettici.

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Fëdor Dostoevskij.

Il vizio del gioco: il peccatore

L’ossessione di Dostoevskij per il gioco era diversa da un semplice bisogno di denaro. Egli amava il gioco e la sensazione che gli provocava, fine a sé stessa. Questo secondo Freud era il suo modo per punirsi. Come ricorda la moglie, che viveva il suo ciclo continuo di peccato, pentimento e buoni propositi, il gioco era la rovina e la salvezza. Infatti, ogni volta che perdeva sino all’ultimo rublo appagava il suo senso di colpa, offrendo una situazione concreta per cui sentirsi in colpa. Era così libero di scrivere serenamente.

Il moralista

L’identificazione con il padre, teorizzata da Freud, porta il ragazzo ad assumere dentro di sé le caratteristiche del genitore. Queste caratteristiche andranno a formare il Super-Io, ovvero l’insieme dei codici di comportamento di una persona. Un padre duro, violento e crudele, farà sì che il Super-Io assuma da lui queste caratteristiche. L’Io, la struttura che ha rapporti con il reale, diverrà invece la parte passiva, femminile. Quella parte masochista che necessita di una punizione per stare bene. Nella giovinezza di Dostoevskij, quella sensazione di morte è vista da Freud come un bisogno di punirsi.

Ciò che scatena il primo attacco epilettico di Dostoevskij è proprio la morte del padre. Quando la fantasia diventa realtà, quando il desiderio inconscio diventa appagato, si provano trionfo e lutto, in una pericolosa sensazione ambivalente. E Dostoevskij si punisce. Questo spiegherebbe anche perché, secondo le fonti, egli non abbia avuto attacchi epilettici durante la sua carcerazione in Siberia. Qualcuno lo stava già punendo, ovvero il sovrano, a causa delle sue simpatie sovversive. Anche la religione sfrutta il suo senso di colpa per tormentarne la vita. Sino all’ultimo Dostoevskij rimarrà nel dubbio tra fede e ateismo. Dostoevskij troverà nell’ideale di Cristo una via d’uscita e una liberazione dalla colpa, tramite l’assunzione di parte della sofferenza del Cristo.

Il parricidio nella letteratura

Freud passa in rassegna alcuni esempi di parricidio nella letteratura. Il primo esempio risale al mito greco. Nella mitologia greca, l’eroe compie il delitto quasi involontariamente, come guidato dal fato. Non riconosce il desiderio di impossessarsi della madre fino a dopo il delitto. Solamente dopo il crimine assume completamente la sua colpa e ne diventa cosciente, come nel caso di Edipo, che si ferisce agli occhi.

Altro caso emblematico è quello del personaggio di Amleto, nato dal genio di Shakespeare. Nel caso di Amleto, è un’altra persona che compie l’azione omicida. Il padre di Amleto, re di Danimarca, viene ucciso dal suo stesso fratello, Claudio. Egli sposerà poi la madre di Amleto, diventando re. Quando il protagonista si trova a dover giudicare la madre per aver sposato il fratello del defunto marito ne è incapace. Il senso di colpa di Amleto è trasferito sulla sua incapacità di agire e di vendicare il padre, che è presente durante tutta l’opera.

Il parricidio compare anche in un’opera di Dostoevskij del 1879, I fratelli Karamazov, nella quale il dispotico capofamiglia Fëdor Pavlovič viene ucciso. In questo caso, è irrilevante sapere chi ha eseguito realmente il delitto, perché tutti i fratelli avrebbero voluto compierlo. Del misfatto viene accusato il fratello maggiore Dimitij, che odia il padre per diverse ragioni. Interessante notare che a quest’ultimo Dostoevskij ha attribuito significativamente la sua stessa malattia, l’epilessia, come se volesse confessare che l’epilettico è il nevrotico e il parricida.

La simpatia di Dostoevskij per il criminale è senza limiti, supera assai i confini della compassione alla quale l’infelice ha diritto. L’assassino per lui è quasi un redentore, che ha preso su di sé la colpa dell’omicidio che altrimenti tutti gli altri avrebbero dovuto sopportare.

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