Il viaggio come opportunità di dialogo attorno al processo della conoscenza in psicologia

In medias res – così come trovano avvio molti racconti – si può dire del viaggio che, in quanto processo, non può darsi a prescindere dal medium. Con medium qui s’intende tanto il mezzo di trasporto preferenziale utilizzato negli spostamenti, quanto il cuore del viaggio, ovvero il racconto che costantemente se ne fa a sé stessi e agli altri. Sembra si sia appena esplicitata una banalità riguardo al tema, ma sembra soltanto. Per senso comune, infatti, un viaggio si può dire tale indipendentemente dalla conoscenza che il viaggiatore produce o meno attorno al mezzo che rende possibile lo stesso viaggiare. Si è soliti dare per scontata, immersi nel nostro incedere, la regola stessa che apre alla possibilità del nostro muoverci nel mondo e all’interno della comunità. In altre parole, il medium viene solitamente impiegato più che studiato; saputo, compreso, capito più che conosciuto. L’idea di poter partire per una nuova avventura, di staccare la spina rispetto alla quotidianità della nostra routine ci acceca e ci incanta in così tanti modi diversi che involontariamente si finisce col ritrovarsi nel bel mezzo dell’oceano, ebeti e vittime delle sirene.

A questo punto, rispetto a quanto posto, si potrebbe obiettare che una formazione completa in termini di funzionamento del mezzo di trasporto sarebbe facoltativa, un capriccio, un di più che al massimo interessa qualche nerd o un geek del settore. Non è necessaria una precisa conoscenza dei moti ventosi, delle correnti e delle rotte marittime di navigazione per potersi godere una crociera. Normalmente non ci si intestardisce su questioni così specialistiche, specie se ci si vuole solo mettere in viaggio – e questo è ciò che accade, dal momento in cui il senso comune “va da sé”. Nella maggior parte dei casi la via euristica prevede la conquista di un sapere e ci si limita a constatare che si sa come procedere e che al massimo si imparerà col tempo. Per prove ed errori si giunge al punto da cui poi si dirà «…e così via». Non si può dire più a fondo – o più a destra, a sinistra, in alto, chissà – del sapere.

Lasciato a sé stesso, senza il supporto di una conoscenza, il sapere è poca cosa, nonostante generalmente funzioni bene. Ciò che qui si vuole osservare è come il sapere, nel suo fallire, introduca nell’ambito della psicologia la possibilità di un nuovo principio di conoscenza e come a sua volta, la conoscenza generata, possa venire in soccorso al sapere. Altresì, può essere mostrato come la conoscenza in merito al viaggio sia capace di rendere il viaggio più fluido e godibile. Ci si preoccuperà dunque, da questo punto in poi, di circoscrivere il principio alla luce del quale il viaggio è reso possibile, partendo proprio dal momento in cui il processo incontra il suo limite.

La riflessione epistemologica sul medium  in psicologia

Blocco dello scrittore. Un uomo rimane bloccato sotto le macerie. «C’è qualcosa che mi blocca la porta e non posso più uscire di casa». La parola chiave, qui, è blocco. Il viaggio procede placido (in un altro in medias res simile al primo), adagiato sull’abilità del guidatore di condurre il mezzo senza conoscerlo, fino a che quest’abilità non incontra il suo confine, la cui raffigurazione è ben offerta dalle mani fra i capelli del malcapitato in corsia d’emergenza, preso nella ricerca spasmodica del numero telefonico che si usa in queste occasioni. Accade così. «Mi voglio ammazzare», dice qualcuno. Si parla di irrigidirsi, incastrarsi, fermarsi, stare, groppo in gola. A questo punto, il mondo si mette in pausa. Le espressioni che si utilizzano in casi simili sono esse stesse frustranti e pesano, costringendo il discorso all’immobilità. Il senso comune prova insistentemente a girare e rigirare la chiave di accensione, qualcuno addirittura chiede: «Cosa c’è che non va?», ma non sempre ottiene il risultato sperato. Non sempre la trama si ricostituisce e il viaggio può riprendere il suo corso allo stesso modo, facendo finta di niente, come se alcunché fosse accaduto. Qualcosa è accaduto e necessariamente si intenta una ricerca di quel cosa. Per alcuni ciò che è stato evocato si traspone sulla pelle, come un brivido invitante; per altri funziona da catalizzatore per l’angoscia. Di una cosa, tuttavia, si può esser certi, cioè che questo è il momento in cui ci si ferma, in cui si cerca aiuto, in cui ci si mette a studiare, in cui il sapere crolla e necessita di un supporto specifico. Ci si presta ad affrontare la rottura della coerenza narrativa nella sospensione del senso, un’espressione che in altri luoghi viene banalizzata in forma di etichetta diagnostica, depressione o schizofrenia.

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La psicologia nasce a questo punto, come ostinato progetto di indagine del cosa-che-non-va-quando-tutto-il-resto-funziona. Ma anche il suo viaggio, ora, è vittima dello stesso blocco che l’aveva inizialmente istituito. La conoscenza di quanto è detto psyche, allo stato dell’arte, conta di un numero esageratamente grande di nozioni e costrutti, organizzati in altrettanto numerose teorie della mente. Ciò che si è osservato finora in quanto esperti della psyche, d’altro canto, è solo ciò che la teoria ha messo a disposizione e non un presunto quid che, danneggiato, necessiterebbe di una riparazione. La ricerca, perciò, si trova attualmente a riflettere sui fondamenti della psicologia, non sulla natura del “cosa viene prodotto?”, ma sul “come si rende disponibile il prodotto”. Si ipotizza che le condizioni di stallo in cui versa il viaggio non siano dovute a un ipotetico qualcosa che non va, ma che siano manifestazioni possibili di regole che governano il mezzo di cui ci si serve. E qual è questo mezzo, in psicologia, se non l’uso del linguaggio ordinario? Spostando il focus da una ricerca della psyche a uno studio sistematico di ciò che la rende possibile, si mostra l’apertura a nuove possibilità. Così il viaggio può riprendere, con la messa in campo di una competenza relativa alle regole d’uso del linguaggio, inteso qui come medium che permette il processo di conoscenza e rende disponibili diversi prodotti.

Si rende quindi necessaria la presenza di un nuovo tipo di esperto, un esperto di linguaggio che, nel suo padroneggiare la conoscenza e nella possibilità di organizzare un sapere, diviene egli stesso un dispensatore di possibilità. Nel viaggio, proprio come accade nel racconto, proprio come accade nell’articolo di giornale, tra le tante possibilità si presenta quella di poter perdere per qualche istante (a volte per un tempo più lungo) il terreno che abitualmente si concede sotto ai piedi. E questa possibilità è – prima che l’espressione di un ipotetico intoppo nel meccanismo – generata nell’uso del linguaggio, nell’uso che si fa del mezzo su cui si viaggia.

Meta come previsione della conclusione del viaggio; tappa come incertezza del risultato finale

Stando a quando premesso, poter venire a capo della meta che è destinazione del viaggio intrapreso, potrebbe essere, per senso comune, auspicabile. Il processo intero – espressione insignificante, ma si usa così – potrebbe acquisire un significato stringente nel caso fosse chiara e ben definita la conclusione a cui si vuole arrivare. Non sarà il caso a cui andrà incontro questo contributo scritto. Se ci fosse chiara la meta, il famoso blocco a cui si accenna più sopra e la conseguente rottura della coerenza narrativa non potrebbero dispiegare l’intera gamma di possibilità che il viaggiare mette a disposizione. La presenza di un capo, un punto a cui dover giungere, rischia di far perdere di vista la serie complessa di operazioni che rende il viaggio così appassionante, nonché di vanificare il compito di questo articolo. Se si procedesse così, ricalcando la storia della psicologia, non ci sarebbe che da chiamare il numero d’emergenza a cui si fa riferimento in questi casi, attendere l’arrivo dell’esperto che riparerà il guasto e trovare in tutta fretta un qualsiasi – qui la parola chiave è qualsiasi – tipo di passaggio alternativo che permetta di rimettersi in moto il quanto prima possibile. Si parla di incertezza del processo nella certezza del prodotto.

Carriera biografica

La situazione appena richiamata, nell’ambito al quale l’intero articolo vuole riferirsi, viene definita nella sua generalità, una carriera biografica. Si tratta di un viaggio di cui si hanno chiari e organizzati in una lista, la destinazione, i modi e i mezzi destinati a compierlo. Non viene lasciata una possibilità agli imprevisti e si blinda il processo in funzione della meta. In queste occasioni la situazione di emergenza è interpretata come un blocco che suscita irritazione, panico, ansia, e non è promuovibile come un’opportunità. Una particolarità della carriera biografica sta nel suo poter essere prevista da tutti i parlanti; ci si trova in un contesto simile ogni qualvolta le situazioni cui si va incontro si evolvono esattamente come ci si aspetta e come la gran parte della comunità si attende. Un viaggio che segue questo format è risultato, meglio, generato da un costante focus sul sapere piuttosto che sul conoscere: passa in primo piano una programmazione della vacanza che è prevedibile, si direbbe un itinerario seguito dai più, che si concentra sul “quanto durerà“, sul “quanto tempo e spazio avrò a disposizione per godere della libertà tanto attesa?” e sugli aspetti “pratici”. Come si faceva notare in precedenza, in una carriera biografica non c’è posto lasciato a ciò che è imprevedibile, che è così per sempre abbandonato nelle mani dell’esperto, in termini di conoscenza che non si crede di dovere, né di potere, padroneggiare. In quest’ottica, la vita è sempre vera vita solo quando è nelle mani di qualcun altro.

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Biografia

Si vorrebbe ora tratteggiare il caso – sempre disponibile in termini di possibilità – in cui il viaggiare stesso venga considerato la  destinazione. Un verbo come destinazione. Si intende in questo modo la situazione in cui, per essere più chiari, il racconto del viaggio – e quindi il processo – si presta a essere la massima aspirazione del viaggiatore. La meta non sarà più quindi intesa nei termini di “dove vado?”, ma di “come ci vado?” e ci si focalizzerà sul medium. In un itinerario del tipo appena proposto, nessuna occasione viene eletta a meta, ma si offre casomai come tappa, poiché ci si impegna nel padroneggiare la certezza del processo aspirando all’incertezza del prodotto. Nella differenza fra meta e tappa si instaura così la distinzione fra carriera biografica e biografia.

Una biografia è paragonabile a un viaggio la cui meta non è ben definita ma è più spesso interna ai presupposti per cui si instaura la disponibilità del viaggio. Per essere più chiari e più deliranti – nello stupendo significato etimologico del verbo delirare come “uscire dal solco” – , una biografia è una vita in cui l’incertezza viene accolta come parte integrante dell’itinerario e quindi viene istituita come emergenza dalla quale poter generare un’opportunità. In questa tipologia di viaggio non ci sono inizio né fine per definizione, per cui può sempre e solo darsi in medias res (il che spiega il ricorrere dell’espressione). La meta non è mai raggiunta e quindi il processo non si arresta mai. Si è arrivati – ma non arrivati, perché questa è solo una tappa – a seguire – non a capire, perché non si è afferrato (dal latino, capere) nulla di effettivo – come la conoscenza possa rivelarsi una traduzione di viaggio laddove non si ferma al guasto, non si blocca nei confronti di una psyche inceppata, ma dispone di una visione d’insieme, di una gamma di possibilità volte a raggiungere sempre e solo la possibilità di continuare a conoscere, quindi di continuare a operare, quindi di continuare a viaggiare. Il tutto può essere reso possibile solo se si considera il linguaggio ordinario e il suo uso come nuovo principio da cui si dipana la conoscenza in psicologia, lasciando da parte la disponibilità delle teorie della mente.

Perché il viaggio non si fermi

Non si deve aver paura di trarre riflessioni e questioni da quanto si è prodotto nel corso di questo testo, giacché quanto promosso è riferibile ai campi del sapere (non si è soliti dire, infatti, campi della conoscenza) più differenti e disparati. Il principio è tale in quanto condivisibile, e il principio, per quanto argomentato finora, è il viaggio come biografia. Si sta sottolineando che viene resa disponibile a tutti la possibilità di viaggiare in questo senso, perché secondo questo principio il viaggio è tale indipendentemente rispetto a tempo e luogo, che sono categorie disponibili al senso comune, ma non alla conoscenza, per la quale sono concetti relativi e interconnessi. Le implicazioni di un simile viaggio sono estendibili a quelli che si danno quotidianamente come rapporti umani, ad esempio, nei quali si tratta l’interlocutore come una realtà da scoprire, nell’ottica di una meta da raggiungere più che come qualcosa di più simile a una tappa, sempre nuova e sempre originale. Ma con tutto l’incedere del discorso presente si è voluta offrire anche l’opportunità di una critica al sapere in psicologia, laddove esso si disponga al senso comune e cessi di generare possibilità invece che disporsi a considerare l’incertezza, il delirio, la stortura, la fatica come parti integranti del processo che, coi nostri testi e discorsi, costantemente generiamo. L’augurio è che ci si possa sempre chiedere se si è intrappolati in una carriera, provvista di inizio e fine, o se si stia invece respirando l’aria mattutina di una biografia, il cui principio coincide con il termine, ed è dato in medias res, nel medium, nel mezzo.

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