Kenshi: bello ma non si applica

Gli studenti prima di Kenshi:
The Guild 3 – Crusader Kings – Vermintide 2 – Tomb Raider – Frostpunk – Ancestors Legacy – Kingdom Come: Deliverance – Monster Hunter: World – World of Warcraft: Battle for Azeroth – Pathfinder: Kingmaker – Darksiders 3 – For The King – Metro: Exodus – Warhammer 40,000: Inquisitor Martyr – My Time at Portia – Mutant Year Zero: Road to Heaven – The Council – Warhammer 40,000 Mechanicus – World of Warcraft: Classic – The Outer Worlds – Graveyard Keeper – Stoneshard – Yes, Your Grace – Mount & Blade II: BannerlordPillars of Eternity II: Deadfire


Kenshi è un videogioco sicuramente molto particolare. Il suo sviluppo si è infatti trascinato per anni e anni all’interno dell’orrendo tumulo dell’accesso anticipato, per poi arrivare finalmente il 6 dicembre 2018 a risorgere e a presentarsi come un titolo finalmente completo, o quantomeno a venire proposto come tale. Lo-Fi Games vede quindi completo il proprio lavoro, non rimane però a riposare sugli allori, incominciando subito lo sviluppo di Kenshi 2.  Il progetto Kenshi si sviluppa fin da subito come molto ambizioso: un ibrido tra un RPG e uno strategico in tempo reale, per gli amici RTS, ambientato in un mondo sterminato, aperto e completamente esplorabile. Di per sé questo mondo non appare particolarmente diverso da un qualsiasi ambientazione post apocalittica, e anche quella giusta tinta di caratterizzazione che si è cercato di trovare per Kenshi non riesce ad andare troppo oltre a ciò a cui ormai siamo abituati. Ciò che fa però la differenza in questo caso non è tanto il succo in sé, quanto la maniera in cui ci viene proposto.

Kenshi: come ti soulsliko un RTS

L’approccio di Kenshi nei confronti del giocatore è infatti quantomeno inusuale: l’inizio può trarci in inganno, proponendo la classica selezione di una razza, la modifica tramite slider e la scelta di uno scenario basato sulla storia del nostro personaggio. Al momento è persino previsto un piccolo tutorial per spiegare le basi del gioco e alcune interazioni con l’interfaccia, niente di troppo articolato, a malapena una piccola stampella su cui appoggiarsi durante i primi passi del nostro lungo viaggio. Se abbiamo scelto lo start consigliato saremo soli all’interno della prima città, nient’altro che una rovina con all’interno una sorta di taverna chiamata dal gioco “bar”, con poco più di mille crediti e la nostra vita. Avremo ancora tutti i nostri arti, ma non sapremo bene per quanto. Primo obbiettivo? Sopravvivere. Quasi tutti i personaggi hanno infatti dei bisogni primari, stranamente l’acqua appare assente, un colpo decisamente basso da un videogioco ambientato in un deserto. Trovare qualcosa da mangiare sarà quindi la prima cosa da fare, a quel punto però saremo immediatamente colpiti dai prezzi delle vettovaglie. Questo ci porta alla fase due di Kenshi: fare soldi per non morire di fame.

Ed è precisamente in questa sezione che si fa largo la domanda più importante, come? Kenshi ci guarda sornione e risponde “come preferisci”. Ogni singola parte di interazione con le meccaniche di gioco da questo in poi si può riassumere con una sola locuzione: supplizio lancinante. Se infatti molto spesso negli RPG a difficoltà umane il fallimento non è contemplato, le nostre prime ore su Kenshi non saranno altro che il ripetersi di momenti sconfortanti in un mondo ostile e menefreghista. Non appena metteremo piede al di fuori del relativamente sicuro spazio della città, potremo imbatterci fin da subito in nutriti gruppi di banditi affamati, che con dei numeri intorno alla decina ci offriranno la solita scelta: o la borsa o la vita. Qualora non incontrassimo esseri umani, ci penserebbe la ben più pericolosa fauna locale a metterci in difficoltà: se infatti un incontro con i banditi può lasciarci pesti, col borsello più leggero ma vivi, gli incontri con i deformi esseri che Kenshi chiama animali non ci vedrebbero così tanto fortunati. A nessuno piace essere mangiato vivo dopo essere stato messo al tappeto da un nutrito gruppo di carnivori, ma Kenshi ci offre questo destino. Ironia vuole che non sia nemmeno uno dei peggiori.

Kenshi
Un altro normalissimo giorno appena al di fuori delle United Cities.

L’ambientazione di Kenshi risulta infatti essere uno dei suoi maggiori punti di forza anche grazie alla crudezza con cui esprime il suo genere, rinominato dallo sviluppatore come “sword-punk“. Ogni genere di nefandezza sarà infatti concessa e anzi, incoraggiata. Ci ritroveremo catapultati in un mondo in cui la schiavitù è assolutamente la norma, in cui ogni gruppo di umani che incontriamo potrebbe cercare di derubarci, ucciderci o rapirci per poi venderci e costringerci a lavorare in qualche miniera sperduta. Se già che questo possa accadere al giocatore appare, oltre che ovviamente terribile, un discretissimo risultato, Kenshi riesce persino a spingersi più in là. Ciò che ricostruisce è infatti un intero mondo in cui tutti gli NPC, animali compresi, interagiscono tra loro e si comportano esattamente come si comporterebbero con il giocatore. Non risulta quindi per nulla raro trovarsi di fronte a scene tanto epiche quanto comiche: che si tratti di una battuta di caccia di carnivori che attaccano una carovana o di un gruppo di schiavisti che attaccano i sopravvissuti a una schermaglia, per poi portarsi a spalla ogni sopravvissuto in catene fino all’insediamento più vicino, Kenshi propone un mondo che appare assolutamente vivo e pieno di cose da fare. O meglio, di pericoli da cui guardarsi.

Queste considerazioni ci portano tuttavia a metterei in mostra il primo lato negativo di questo progetto ambiziosissimo: la frustrazione che l’estrema difficoltà è in grado di generare. Come ogni RPG che si rispetti, Kenshi è infatti dominato dalle statistiche dei nostri personaggi, potremo reclutarne fino a un massimo di 30 col gioco vanilla, statistiche che nella maggior parte dei casi partono da 1, o addirittura a volte in negativo. Non sono tuttavia presenti zone di difficoltà diversa. Uno schiavista rimane uno schiavista tanto quanto una guardia rimane una guardia, questo a prescindere dalla zona in cui ci troviamo. Questo significa che ogni punto della mappa è intrinsecamente pericoloso. Kenshi tuttavia si impegna molto, e riesce persino a peggiorare le cose: se infatti le nostre abilità miglioreranno con il tempo, anche quelle dei nostri nemici lo faranno. Qualora dovessimo incontrare un nemico particolarmente fortunato da essere riuscito a sopravvivere a un paio di combattimenti senza morire ci troveremo infatti di fronte a un personaggio che di fatto avrà aumentato le sue caratteristiche esattamente come avrebbe fatto il giocatore, rendendolo un NPC ancora più importante e difficile da affrontare.

Kenshi
Immagine media di un giocatore al primo, secondo e anche terzo impatto con Kenshi.

Una volta superata la fase iniziale e che avremo finalmente raggiunto una sorta di stabilità economica sarà il momento di effettuare il passo successivo alla mera sopravvivenza: insediarsi in una vera e propria città, facendola crescere da un accampamento fino a una piccola metropoli post apocalittica. Potrebbe la seconda parte di gioco essere più semplice della prima? Ovviamente no. Purtroppo però in questo caso non parliamo di difficoltà o frustrazione dettata dal design o da una visione di gioco particolare, ma di vere e proprie difficoltà tecniche. Il sistema di costruzione di Kenshi è veramente impraticabile: costruire in aree non completamente in piano diventa un impresa unica a causa delle fondamenta decisamente troppo lineari, e nulla può l’apposito strumento per inclinare gli edifici. Anche guardando i punti di contatto tra le costruzioni siamo assolutamente in alto mare, molte di queste possono intersecarsi tra loro in maniera leggermente limitata, ma nulla che possa realmente soddisfare il bisogno del giocatore nel caso in cui si voglia costruire qualcosa di leggermente più che solamente utilitario. A piantare il proverbiale ulteriore chiodo nella bara si aggiunge anche l’incapacità di Kenshi di far apparire al giocatore in maniera chiara quali siano le zone in cui i personaggi non potranno passare, rendendo quindi chiudere le aree con le mura un vero e proprio incubo.

La vera matrice di tutti questi problemi è tuttavia sempre e solo una ovvero che Kenshi sia un videogioco costruito con una spettacolare filosofia di gioco, ma che rimane un progetto vecchio di quasi sei o sette anni ormai. Questo si riflette in maniera indelebile su tutti gli aspetti di gioco: le texture variano dall’inguardabile all’indecente, facendolo apparire più come un browser game che come un videogioco vero e proprio; i comandi e l’interfaccia sono obsoleti, incompleti e mancano di ogni genere di chiarezza tipica dei videogiochi di nuova generazione, rendendo la navigazione tra i vari menù un’avventura tutt’altro che divertente; Il micromanagement, sia in combattimento che al di fuori di esso, risulta essere tanto elevato da rendere la gestione di molte fasi di gioco un tedio incredibile, impantanando una velocità di gioco che di per sé potrebbe anche risultare abbastanza accettabile. Kenshi manca in maniera assolutamente marcata di tutte quelle piccole modifiche e accorgimenti che in inglese vengono definite con la sigla QoL, ovvero quality of life. Si tratta però di un vero peccato, poiché a rendere l’esperienza ostica a coloro che sono meno determinati è proprio la mancanza di queste piccole caratteristiche.

Kenshi
Salve, ha un minuto per parlare di quanto sia orribile la mia texture?

L’alba del giorno 2

Tenendo quindi in considerazione ciò che abbiamo potuto osservare di Kenshi, titolo macchiato dall’onta dell’accesso anticipato, possiamo sicuramente affermare che non basti sostenere che il proprio gioco sia finito per poterlo davvero considerare finito. Kenshi esce da questa fase in cui più che un videogioco in se per sé pare più tanto potenziale sprecato. Fortunatamente i modder e la comunità sono come sempre al lavoro per rifinire tutti gli aspetti grezzi lasciati indietro dagli sviluppatori, anche se spesso le cose non vanno come programmato. Sapendo già che il secondo capitolo di questo gioco sword-punk sia in lavorazione possiamo quindi dare per scontato che i lavori su Kenshi procederanno a rilento, se lo faranno affatto. Risulta difficile davvero sottolineare quanto questo sia un vero dispiacere, poiché Kenshi stesso per la sua idea e concezione meritava sicuramente più di ciò che ha in realtà ricevuto.  La nostra speranza è tuttavia dura a morire, e ciò che senza dubbio sarebbe molto piacevole è che Lo-Fi sfrutti l’esperienza ricevuta da questo primo capitolo per migliorare, ingrandire, ma soprattutto svecchiare un videogioco dal potenziale così vasto da essere uno tra i migliori ibridi RPG-RTS disponibili sul mercato, con o senza il suo infinito bagaglio di bug. Si applicheranno di più per Kenshi 2?

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